Ricordando Emanuele “Elio” Cassara

Testo di Andrea Mellano.

Da “Cai Uget Notizie” n . 6 Novembre – Dicembre 2021: www.caiuget.it/notizie/

Sono ormai passati sedici anni da quando la morte di Cassarà ci ha privati di un grande personaggio, e personalmente di un amico fraterno, che ha cambiato la visione e l’interpretazione delle attività alpinistiche, in particolare della arrampicata alla fine del ‘900. In occasione della sua morte, avvenuta l’8 dicembre del 2005, grande è stato lo sconcerto nel mondo alpinistico e in particolare in quello piemontese dove Cassarà svolse la maggior parte della sua vita professionale, come giornalista e scrittore del mondo della montagna con i suoi libri.

Volumi come “Tuttamontagna”, “La Morte del Chiodo”, “Le quattro vite di Reinhold Messner”, “ Un Alpinismo Irripetibile” hanno rivoluzionato la visione arcaica e retorica dell’alpinismo configurandolo nelle sue varianti moderne e laiche. A questi volumi si aggiunge l’ultimo suo libro “Un Balilla Partigiano” sulla sua esperienza giovanile nelle brigate partigiane della Valle di Susa. Alla sua notevole attività letteraria e giornalistica si aggiunse, negli anni 1986/1989 quella di direttore del Festival Internazionale della Montagna di Trento e per molti anni fu membro autorevole del Premio Itas.
A cominciare dalla seconda metà degli anni ’60 Cassarà, “Elio” per gli amici, ha seguito l’evoluzione culturale dell’alpinismo, prima dalle colonne della sua rubrica “Il bivacco dell’Alpinista” sul quotidiano “Tuttosport”, poi nei vari articoli sulle riviste specializzate e interventi a convegni e conferenze, confrontandosi con i vari protagonisti delle maggiori imprese alpinistiche del primo e secondo ‘900: dai grandi vecchi Francesco Ravelli, Riccardo Cassin, Bruno De Tassis agli esponenti del primo dopoguerra, Bonatti, Mauri, Maestri sino al Messner dei 14 “8000” e ai fuoriclasse dei pionieri dell’arrampicata, cosiddetta libera e poi sportiva: Edlinger, Escoffier, Larcher, Bassi, Bernardi per non citarne che alcuni.
La formazione professionale giornalistica, unita alla sua predisposizione a scavare nella notizia lo portava a far emergere dalle interviste più che la parte celebrativa e spettacolare, le emozioni e le reazioni “normali” dei protagonisti presentandoli in una dimensione antiretorica fuori dagli schemi convenzionali che allora caratterizzavano la cronaca delle imprese alpinistiche.
Il mio incontro con “Elio” Cassarà avvenne all’inizio degli anni ’60 dopo il ritorno dalla scalata italiana della parete nord dell’Eiger. L’approccio con il giornalista non fu subito agevole, entrambi ci tenevamo molto chiusi: io per una diffidenza innata nei confronti di chi ritenevo un estraneo al mondo della montagna, lui per una sorta di timidezza verso un soggetto sfuggente e ostico che gli rendeva difficile interpretarne la personalità. AI primo incontro ne seguirono altri e la reciproca diffidenza iniziale venne meno e si instaurò tra noi una identità di vedute nei confronti della attività alpinistica analizzata con un’ottica culturale nuova che lui seppe individuare nella mia personale interpretazione dell’alpinismo in generale e nella arrampicata in particolare.
Nel 1966, con gli amici alpinisti Alberto Risso, Giorgio Griva e mia moglie Gemma Commod, organizzammo una mini spedizione “autoalpinistica” al Monte Ararat, la biblica montagna di 5172 metri di quota, nella parte Anatolica della Turchia orientale. Si trattava di trovare uno sponsor per il mezzo di trasporto e Cassarà, informato dell’iniziativa, si offrì di aiutarci in cambio della sua partecipazione. Accettammo l’offerta e grazie alle sue conoscenze presso l’ufficio stampa della Lancia, riuscì a ottenere in prestito un furgone “super jolly” attrezzato a camper. Fu un viaggio straordinario, ricco di interesse attraverso l’allora Jugoslavia, Bulgaria e Turchia, sino ad Agri e Dogubajazit, ultimo villaggio ai confini dell’Iran, ai piedi dell’ Ararat per un totale di oltre 4000 chilometri. La spedizione si concluse con la scalata dell’ Ararat, lungo due vie nuove del versante sud, ma della mitica Arca nessuna traccia. Poi il lungo viaggio di ritorno, evitando di poco il terribile terremoto che distrusse buona parte della città di Erzurum.
Stimolato dall’avventura dell’Ararat Cassarà, due anni dopo, partecipò con un piccolo gruppo di alpinisti dell’Uget, guidati da Lino Andreotti, ad una escursione sci-alpinistica al Monte Demavend di 5761 m in Iran. Naturalmente Cassarà in quella occasione, digiuno di pratica sci-alpinistica, salì e discese tutto a piedi il Demavend, mentre i compagni scendevano allegramente con gli sci.
Dopo l’Ararat e il Demavend, Cassarà iniziò ad accompagnarmi in numerose escursioni e in brevi arrampicate iniziando ad entrare nell’ambiente alpinistico di cui voleva capire la cultura e le motivazioni. Era un uomo colto, motivato, generoso senza pose da intellettuale. Fisicamente forte accettava le sfide che io e gli altri compagni di escursioni, a volte sadicamente, gli proponevamo, costringendolo a seguirci su pareti e percorsi spesso di notevole impegno, per mettere alla prova le sue analisi antiretoriche sugli alpinisti. Nelle discussioni tra me e Cassarà, che intercalavano il nostro girovagare sui monti, cercavamo di approfondire e verificare le tematiche nuove che stavano agitando l’ambiente alpinistico occidentale, già messo in allarme alla metà degli anni ’70 dai gruppi dei nuovi arrampicatori, per la loro visione dissacrante e contestatrice, ben rappresentata in quel periodo dal movimento “Nuovo Mattino” che faceva capo al giovane intellettuale e alpinista Giampiero Motti e a Giancarlo Grassi, fortissimo arrampicatore e alpinista.
La montagna fu l’occasione per la nascita, tra Cassarà e il sottoscritto, di una amicizia forte che ci legò per oltre quarant’anni, con interessi spesso dialettici che andavano oltre a quelli dell’alpinismo per toccare temi legati alla vita civile e politica. Nel campo dell’alpinismo si consolidò un sodalizio culturale che portò alla ormai storica svolta degli anni ’80, con la nascita dell’arrampicata sportiva come attività affine ma autonoma dell’alpinismo classico.
Cassarà non voleva essere schiavo della storia e dei valori dell’alpinismo accettati acriticamente. Il suo spirito libero e la sua intelligenza erano tesi alla ricerca di una nuova base etica e laica per definire le prestazioni in alpinismo e soprattutto in arrampicata dove l’aspetto sportivo doveva prevalere sull’ideologia del rischio e dell’imponderabile.
L’introduzione del termine sportivo nell’arrampicata, fu l’atto più dirompente e nuovo che in seguito condizionò non solo l’arrampicata fine e sé stessa, ma tutta l’attività legata all’alpinismo. Il concetto sportivo offriva una visione “laica” dell’alpinismo e dell’arrampicata, finalmente comprensibile anche ai profani. In particolare l’arrampicata si apriva a settori nuovi di utenti non necessariamente praticanti attività alpinistiche come scuole pubbliche e associazioni giovanili.
Visione laica per Cassarà sta a significare soprattutto che la componente rischio insita nell’alpinismo, non rappresenta più un valore di merito e un grado di difficoltà ma una eventuale fatalità che deve essere ridotta e quasi annullata. Ferma restando, ovviamente la libertà di ciascuno di praticare l’alpinismo e l’arrampicata secondo la propria etica individuale che non dovrà però essere proposta come modello e oggetto di propaganda, in particolare tra i giovani, quando la gratificazione conseguente alla prestazione è il rischio estremo.
Premessa alla diffusione del concetto sportivo dell’arrampicata fu la costruzione, nel 1980 nel Palazzo a Vela di Torino, della palestra artificiale d’arrampicata, per concezione e ampiezza la prima in Europa. L’impianto del Palavela fu preso come esempio per la costruzione di altri impianti urbani per l’arrampicata sorti in seguito in varie località italiane ed europee.


L’avvenimento che a metà degli anni ’80 introdusse ufficialmente le gare di arrampicata sportiva tra le attività affini all’alpinismo fu la grande manifestazione internazionale di Bardonecchia “SPORT ROCCIA ’85”, ideata, organizzata e diretta da Cassarà, con il sottoscritto, Marco Bernardi e Alberto Risso sulle pareti calcaree della parete dei Militi in Valle Stretta, luogo storico dell’arrampicata classica piemontese. L’annuncio della gara suscitò una vera levata di scudi da parte degli organi ufficiali del CAI (ma alla manife stazione diedero il loro appoggio il CAI-UGET, il gruppo occidentale del CAAI, la scuola di alpinismo G. Gervasutti, il Museo Nazionale della Montagna).
In Francia fu pubblicato un “manifesto” di condanna sottoscritto da un centinaio dei più noti esponenti dell’arrampicata: in prima fila Edlinger, Berault, Destivelle. Noi non ci lasciammo intimorire e proseguimmo con il nostro dirompente progetto. A “SPORTROCCIA’85” le intuizioni, i dibattiti e le analisi culturali di Cassarà e dei suoi complici “ribelli” all’ortodossia dell’alpinismo, ebbero piena conferma per la presenza in gara dei più rappresentativi giovani esponenti di allora dell’arrampicata internazionale (compresi alcuni dei più noti firmatari del “manifesto” di condanna): dal fuoriclasse Didier Raboutu, alla promessa Stephan Glowacz (il vincitore), Catherine Destivelle e dai nostri migliori arrampicatori: Roberto Bassi, Marco Ballerini, Andrea Gallo, Luisa Jovane, Marco Pedrini. Patrick Edlinger non se la sentì ma l’anno dopo, alla seconda edizione (svoltasi nella due località di Arco e Bardonecchia), si presentò e vinse alla grande. La manifestazione di Bardonecchia fu un evento sportivo straordinario seguito, alla base della parete dei Militi, da oltre 10.000 spettatori.
Nel 1987, sempre a Torino, promossa dagli stessi organizzatori di “SPORTROCCIA ’85”, fu fondata la SASP -Società Arrampicata Sportiva Palavela, prima società italiana di arrampicata sportiva. Nello stesso anno per iniziativa degli stessi fondatori della SASP, nacque la FASI, Federazione Arrampicata Sportiva Italiana, riconosciuta nel 1990 dal CONI e contemporaneamente, in sede internazionale nell’ambito UIAA, si costituì la Federazione Internazionale per le competizioni.
L’arrampicata sportiva per la sua ormai più che trentennale attività nazionale e internazionale nel 2020 ha ottenuto il riconoscimento di attività olimpica e nel 2021 ha partecipato con i suoi atleti più rappresentativi alle Olimpiadi. Il sogno segreto di “Elio” Cassarà, quello che lui ha sempre avuto si è avverato: l’arrampicata sportiva, da lui perseguita e voluta caparbiamente, con le sue analisi, le sue intuizioni, le iniziative e battaglie culturali è diventata DISCIPLINA OLIMPICA.

Grazie Elio ti dobbiamo molto, ci manchi.

Libri presenti nella Biblioteca della sezione CAI – Uget Torino:

  • Tutta montagna, ed. Longanesi, 1977.
  • VI grado in assemblea: Atti del 1° convegno nazionale sull’alpinismo moderno, scritto insieme ad Andrea Mellano, ed. SAID, 1977.
  • Le quattro vite di Reinhold Messner, ed. Dall’Oglio, 1982.
  • La morte del chiodo, montagne da ri-conquistare, ed. Zanichelli, 1983.
  • Un alpinismo irripetibile, cronache di montagna da Bonatti a Messner, ed. Arti Grafiche San Rocco, 1996.

Tuttora manca nella Biblioteca della sezione CAI – Uget Torino :

Un balilla partigiano, l’ultimo suo scritto, dedicato alla sua partecipazione agli eventi della Resistenza.